Vita di Alessandro Stradella
L’esistenza rocambolesca di Alessandro Stradella, uno dei massimi compositori italiani della sua generazione, ha ispirato fin dall’Ottocento – e ispira tuttora – romanzi, film e opere in musica, che ripropongono l’ideale romantico del genio maledetto, tanto più genio quanto più maledetto e spregiudicato. Negli ultimi decenni, grazie a numerose ricerche storico-archivistiche, si è gradualmente riusciti a ricostruire una buona parte della sua reale vicenda biografica, al di là di aneddoti e leggende.
Dalla recente scoperta dell’atto di battesimo si è appreso che Stradella nacque a Bologna nel 1643 dal nepesino Marc’Antonio e dall’orvietana Vittoria Bartoli, pochi mesi prima che i genitori rientrassero a Nepi dopo breve soggiorno a Vignola, dove il padre durante la guerra di Castro era stato nominato vice-marchese. Le prime testimonianze sulla vita del compositore risalgono solo agli anni cinquanta, quando, morto il padre, Alessandro si trasferì da Nepi a Roma col fratello Stefano e la madre per vivere a palazzo Lante come paggio del duca Ippolito. E’ probabilmente a Roma che avvenne la sua formazione musicale.
Attorno ai vent’anni godeva già come compositore di una certa notorietà, dato che fu incaricato dall’arciconfraternita romana del Santissimo Crocifisso di scrivere uno dei cinque oratori in latino per la Quaresima del 1667, ma dell’effettiva composizione ed esecuzione di questo oratorio, che sarebbe il suo primo lavoro datato, non si hanno prove certe. Nonostante importanti committenze private, a Roma non riuscì mai ad assicurarsi un impiego fisso e poté contare solo su ingaggi occasionali, che evidentemente non lo fecero desistere da altre possibilità di guadagno, non sempre lecite. Si prodigò a comporre musica per occasioni celebrative della nobiltà romana, scrivendo, per esempio, il Lamento del Tebro (1671) per l’unione fra una Pamphilj e un Doria, la serenata «Ecco Amore che altèro risplende» per le nozze fra un’Altieri e un Colonna, e la serenata Il duello (1674) per l’intrattenimento di Cristina di Svezia. All’inizio degli anni settanta, con l’apertura del primo teatro pubblico romano, il Tordinona, Stradella fu coinvolto nelle sue produzioni dall’impresario Filippo Acciaioli: creò prevalentemente sezioni di cornice per repliche di opere veneziane, ovvero prologhi e intermedi, ma in qualche caso, come il Novello Giasone (1671), anche nuove arie. Agli stessi anni dovrebbe risalire anche la prima opera da lui interamente musicata e solo recentemente ritrovata, la Doriclea su versi del poeta romano Flavio Orsini. Uno dei suoi lavori oggi più celebri, l’oratorio San Giovanni Battista, fu composto per la Quaresima dell’anno giubilare 1675 ed eseguito nella chiesa romana di San Giovanni dei Fiorentini, in una rassegna che prevedeva quattordici oratori di autori diversi. La maggior parte degli oratori da lui musicati, fra cui Santa Editta, San Giovanni Crisostomo e Ester, fu probabilmente destinata all’ambiente devozionale romano.
Nell’ottobre 1676 chiese protezione e ospitalità nella Serenissima al nobile veneziano Polo Michiel, in stretto contatto con l’ambiente artistico e aristocratico romano, dovendo lasciare Roma per «una certa disgrazia» occorsa – così disse. Pare avesse tentato di combinare un matrimonio, facendo sposare un nipote del cardinale Cybo niente meno che con una cortigiana e suscitando così le ire della potente famiglia del primo. Di fatto, all’inizio dell’anno successivo, il 1677, era già a Venezia, dove – non pago dei precedenti – combinò l’ennesimo guaio, che poi diventerà leggendario. Fuggì a Torino con una pupilla del nobile Alvise Contarini, Agnese van Uffel, a cui dava lezioni di canto, e nella città sabauda i due amanti trovarono rifugio in conventi. Contarini, giunto a Torino per vendicare il sopruso e capire le intenzioni della sua pupilla, apprese che la donna voleva sposare Stradella e cercò di rassegnarsi, ma quando la tensione diplomatica si attenuò, nell’ottobre 1677 il musicista fu barbaramente aggredito in piazza San Carlo da due sicari, probabilmente al soldo dello stesso Contarini.
Definitivamente compromessa la sua credibilità a Torino, all’inizio dell’anno successivo, il compositore decise di trasferirsi a Genova, dove fu ben accolto e probabilmente ospitato da uno degli esponenti più in vista dell’aristocrazia locale, Franco Imperiale Lercari. Costui, insieme ad altri, era socio del Teatro Falcone, che divenne uno dei primi sbocchi professionali di Stradella: oltre a scrivere musica sacra, da camera e a impartire lezioni private, fu infatti incaricato di produrre un’intera stagione d’opera, quella fra il 1678 e il 1679. Per l’occasione mise in musica due libretti di Nicolò Minato già intonati e rappresentati a Venezia, Seleuco e Muzio Scevola, da cui nacquero rispettivamente La forza dell’amor paterno e Le garre dell’amor eroico; e infine scrisse una nuova opera, di carattere comico, Il trespolo tutore. Il suo incarico al Falcone si concluse quello stesso anno, il 1679, per un passaggio di proprietà del teatro (dagli Adorno ai Durazzo) che ne cambiò la politica gestionale, ma Stradella continuò a comporre musica drammatica. Nel 1681 intonò il libretto del Moro per amore di Flavio Orsini, su commissione del medesimo ma mai rappresentato e la serenata marittima Il barcheggio per le nozze di una Brignole con uno Spinola. Sempre nello stesso anno fu eseguito a Modena il suo oratorio Santa Susanna. Purtroppo non poté esprimere il suo talento ancora per molto, perché all’inizio dell’anno successivo, il 25 febbraio 1682, fu assassinato in Piazza dei Banchi, senza che siano mai stati individuati i colpevoli e appurato il movente del delitto. Ora riposa nella chiesa genovese di Santa Maria delle Vigne.
© Andrea Garavaglia – 2019